Cerca nel blog

sabato 16 marzo 2013

La pittura, la bellezza, la femminilità- Intervista a Laura Aprile.


Laura Aprile può essere descritta con un solo aggettivo: indefinibile. Perché inafferrabile seppure schietta come quasi nessuno più, perché forte ed eppure di di una dolcezza ineffabile, perché arguta ed insieme sensibile e poi lontana e poi feroce e poi misteriosa e poi vera. Allo stesso modo le sue donne (Maddalene o Madonne) raramente mostrano il loro volto ed eppure ti fissano, pudiche, di quel pudore antico che solo animi vuoti possono non vedere, abbagliati dall'apparente nudità. Le opere di Laura non sono semplicemente belle: questa donna ha caparbiamente voluto dipingere perché, come dice lei, non aveva scelta. E ha studiato: quel che di pregevole hanno innanzitutto le sue tele è appunto la ricerca estenuante della perfezione formale; la prospettiva, un dito del piede, un ricciolo, un marrone giocato tono su tono sul filo dell'appiattimento per superare quel pericolo e staccarsi quasi diventando un colore altro. E' una sfida la pittura per Laura ed è anche fatica: tele enormi cui la fotografia non riesce a rendere giustizia perché le dimensioni, impressionanti, possono essere colte solo se si vede lei, il pennello in mano, dinanzi all'opera, lei, piccola, in atto d'amore e di passione assoluta.

D: Che cosa ha significato nella tua vita essere pittrice? 

R: Si nasce pittori, così come musicisti o scultori. Credo sia una questione di anima, non di scelta. Nascere con questo destino mi ha dato molto in sensibilità, ma mi ha tolto altro per lo stesso motivo.


D: Quali ostacoli hai dovuto superare, se ce ne sono stati, per diventarlo?

R:  Gli ostacoli sono stati soprattutto mentali, poi pratici. 
A casa la scelta è risultata stravagante, i miei volevano facessi tutt'altro; li ho presi per stanchezza, ero assolutamente ossessiva e perentoria.
La vera difficoltà, come dicevo, è nella testa, perdurare nella pittura è più difficile che cominciare.



D: La tua tecnica è particolare e, per me, incredibile: dipingi da una fotografia, riproducendo però le misure reali del soggetto. Quanta fatica e quanto studio ci sono dietro? Perché dipingi così?

R: Non ho mai dato tanto peso alla tecnica, ma al processo mentale, anche se è indiscutibile il fatto che nel mio lavoro ci debba essere una conoscenza anatomica assolutamente ineccepibile. Ma ciò che conta,appunto, è il processo mentale che conduce alla tecnica. I soggetti possono nascere da un'idea, da una foto, da una mia immagine o da quella di qualsiasi altra persona, per me è un fatto del tutto irrilevante. La fatica è nel trovare il soggetto capace di suscitare il desiderio, o meglio, lo scatto al desiderio; così il risultato è sempre direttamente proporzionale alla passione avuta nel realizzarlo.



D: Si può essere pittori senza alcuna conoscenza di anatomia, prospettiva, storia dell'arte? Credi esistano tanti Van Gogh, in sostanza?

R: Credo ci siano talenti come Bacon, in grado di essere geni senza nessuno studio preconfezionato. Si nasce pittori, ripeto, lo studio è sempre un discorso personale. Per questa ragione esistono molti artigiani della pittura, veri pittori pochi.



D: Che cosa ti consente di esprimere la pittura e come ti senti quando le tue opere vengono esposte?

R: -Lavorare a un quadro è come fare l'amore, è essere in amore. E' una via di mezzo tra uno sforzo mentale e un'alchimia sensoriale, finito il parto, il dipinto, per me, non ha più nessuna importanza, diventa un oggetto come un altro. Non ho mai capito i pittori che si affezionano alle loro opere al punto da non doversene separare mai.



D:  Predominano, nei tuoi dipinti, le figure femminili: misteriose, bellissime, sensuali. E' così che vedi il prototipo di donna? 

R: Questa è una domanda per me molto difficile. Francamente non so perché dipingo la donna sensuale o,  comunque, non è il mio scopo in primis. So solo che l'effetto, il risultato, possono condurre a quest'idea,ma non è il mio intento principale.Ciò a cui tengo è l'armonia, il taglio, la non ovvietà che è la cosa che mi fa più spavento.



D: Il tuo stato d'animo influisce sulla tua opera? Più attraverso il disegno o il colore? E, quando rivedi un tuo dipinto, riesci a ricordare i tuoi stati d'animo d'allora?

R: Se sono col fuoco della pittura dentro, lavoro. Se non ho il fuoco, impossibile mettermi al lavoro, non saprei da che parte cominciare. Per molti è solo una forma di alibi incondizionato ma in me funziona solo in questo modo. Tuttavia, ci sono momenti in cui ho più desiderio che altri e molti lavori mi ricordano certamente lo stato di desiderio in cui mi sono trovata mentre li dipingevo.



D: Qual è la critica che non sopporti e il più bel complimento che ti è stato fatto? Quale, invece, quello che aspetti di ricevere?

R: Non sopporto quando la gente mi chiede del perché io abbia dipinto questo o quello, non lo sopporto perché non trovo, nel mio lavoro, una ragione particolare di ciò che faccio.Del resto, nell'arte, così come nell'amore, non esistono ragioni.
Non mi aspetto di ricevere nulla dagli altri ma mi commuovo sempre quando, a distanza di anni, i miei collezionisti mi sono grati di ciò che ho dipinto e che loro possiedono in casa.



D: L'arte è per te un atto sacro: in quanto tale, hai un cerimoniale che segui?

R: Sono una selvaggia, un'istintiva maniacale. Nessun cerimoniale, se non il fatto stesso che, quando sono davanti al cavalletto, mi sento sempre come il sacerdote che sta preparando messa. E' quello il mio altare di pietra.



D: Sei una donna bellissima che spesso si ritrae: francamente, come fai a sopportare su Facebook, certi commenti di uomini sulla tua avvenenza a discapito della tua arte e quelli di alcune bigotte su una inesistente volgarità?

R:  Quando scegli di fare il pittore devi avere un solo desiderio: diventare sordo. Solo in questo modo puoi raggiungere il tuo sogno, la tua strada e rimanere impermeabile a tutta la volgarità possibile.