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domenica 19 settembre 2010

Intervista a Sandro Ruotolo


C'è un programma che, ad ogni stagione, non manca di suscitare polemiche ben prima del suo inizio. Non è il Festival di Sanremo né Miss Italia, lì le polemiche sono costruite ad arte. Ad “Annozero” sono vere e viscerali. Si scontrano le due anime di quest'Italia lacerata: chi del programma di Santoro ha fatto un mezzo per esprimere il suo dissenso; chi lamenta la mancanza di obiettività e un attacco al Governo.
In mezzo c'è una redazione che lavora.
Dietro le scene, non sempre inquadrato, anzi raramente, c'è ad esempio chi , per fare informazione, è stato minacciato assieme alla sua famiglia.
Sandro Ruotolo.
Che non si atteggia a divo, che non fa la vittima né l'eroe, che delle minacce ricevute parla appena e lo fa con pudore.
Le sue risposte sono secche, senza fronzoli così com'è lui.
E lasciano aperti molti interrogativi.
Uno su tutti: perché siano in così pochi a fare il proprio dovere.
Non lo chiedo a lui, si schermirebbe.
Nonostante la stima che nutro per lui, anzi, proprio per quella, gli pongo domande “antipatiche”.
Ovviamente, risponde.
Ed altrettanto ovviamente la mia stima aumenta.
Mi auguro anche quella di chi leggerà.

D: Qual è il dovere di un giornalista? A chi ti ispiri?

R: L'ideale di un giornalista e' raccontare i fatti come li vede, senza riguardo per le conseguenze o le polemiche che ne possono derivare". E' a Walter Cronkite, l'anchorman americano che mi ispiro. Penso che il dovere di un giornalista sia quello di raccontare quello che vede. In piena indipendenza che non significa non avere un punto di vista.  Può sbagliare, certo ma l'importante è che non ci sia dolo e che sbagli in buona fede

D: Credi vi sia più censura o autocensura nell'affrontare certi personaggi e temi?.

  R: Esiste la censura ed esiste l'autocensura. Non esistono editori indipendenti. C'è un enorme conflitto di interessi che riguarda Silvio Berlusconi, ma non solo lui. Certo, nella carta stampata c'è pluralismo ma non significa che le cose vadano bene. Diverso è il discorso che riguarda la televisione. In tanti (giornalisti) preferiscono autocensurarsi ( "tengono famiglia"). Da condannare? 

D: Può esistere un giornalismo obiettivo?

R: Giornalismo obiettivo? Sappiamo che non esiste il giornalismo "neutrale". Ha sempre un punto di vista.

D:Hai lavorato per tre anni nelle reti di Berlusconi: non è contraddittorio? Ed avevi comunque la libertà di esprimerti come volevi? 

R: Sono un professionista e nel 1996 l'alternativa alla Rai era Mediaset. Silvio Berlusconi era all'opposizione, la società era stata da poco quotata in borsa. Ci siamo sempre sentiti liberi. Penso alle puntate di Moby Dick su Dell'Utri, Di Pietro, a come abbiamo seguito la guerra in Serbia. 

D: E' normale che un giornalista sia vittima di minacce? Come vivi questa situazione?

R: Non siamo un paese normale. Ci sono decine di giornalisti (l'emergenza in questo momento è in Calabria) minacciati di morte. Colleghi con la schiena dritta, le cui drammatiche storie, purtroppo, non hanno visibilità. E chi è minacciato perde la sua serenità. Certo non è una sensazione bella quando esci di casa e ti guardi a destra e a sinistra. Quando la tua privacy è minacciata.


D: Trovi giuste le accuse di faziosità e quelle sugli ingaggi milionari rivolte ai programmi di Santoro?

R: Di solito l'accusa di faziosità proviene dalla politica che è faziosa, di parte. Chi lavora in un programma di approfondimento, con cadenza settimanale, deve esplicitare il suo punto di vista che non significa non sollevare punti interrogativi, mettere a confronto punti di vista diversi. Un programma televisivo costa. Noi che siamo un programma giornalistico, quindi di servizio pubblico, costiamo meno di quello che guadagna la Rai con la pubblcità. Ci ripaghiamo le spese e non tocchiamo un euro del canone. 

D: Quali fra le tue inchieste ti hanno dato maggiori soddisfazioni?

R: Dopo trent'anni di radiotelevisione sono tante le inchieste di cui "son fiero". Ho raccontato le mafie, le guerre e le storie dei più deboli. Penso agli immigrati di Castelvolturno o di Rosarno. Agli imprenditori che non pagano il pizzo e si ribellano
.
D: Qual è il dovere di una TV di Stato riguardo all'informazione? Può essere assolto in una Rai lottizzata e in mano a raccomandati?

R: La definizione di Tv di Stato non mi piace. La Rai è al servizio del pubblico, dei radiotelespettatori. E il dovere di un servizio pubblico è quello di raccontare i fatti, di dare notizie e di consentire ai cittadini di formarsi un suo punto di vista. Ma per formarsi un'idea il cittadino ha bisogno di confrontarsi con più idee. Pluralismo. Il servizio pubblico è incompatibile con il controllo dei partiti.



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