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venerdì 5 maggio 2017

"Santamamma", un libro che doveva essere scritto.




Ci sono libri che vanno al di là delle categorie del "bello" e del "brutto", io li definisco i "libri che devono essere scritti" e, perciò, letti. "Santamamma" è uno di questi libri. L'autore, Giulio Cavalli, è noto per la sua lotta contro la mafia e, in questa veste, l'ho conosciuto. In questi abiti l'ho intervistato, anni fa, l'ho ammirato e seguito nelle sue instancabili denunce contro ogni malaffare. In questi panni, l'ho ritrovato in tutti i libri che ha scritto e che ho letto, inserendolo nel mio personale album degli "eroi", gente profondamente onesta e coraggiosa che, in ogni loro lotta, non esitano a metterci faccia, mani, vita tutta. Ma quei vestiti sono subito risultati strettissimi quando mi sono ritrovata a leggere   "Santamamma": lo stile è certamente il suo, inconfondibile, ma non si trattava di un saggio, era la storia di più vite. La sua, certamente. Abilmente travestita (al punto da chiederti dove arrivi la finzione letteraria), si spalanca attraverso quel dolore, quella domanda che aleggia per tutto il romanzo e che mai viene espressa:"Perché mamma non mi ha voluto? Perché mi ha abbandonato?". Una domanda che non appartiene soltanto a chi è stato rifiutato e costretto a crescere in un istituto, ma che può cogliere ognuno di noi in qualsiasi momento della nostra vita: di fronte a un'incomprensione, un diniego, una separazione. Il "buco" di cui Carlo, l'alter ego di Giulio, parla lo accompagna sempre, anche se viene adottato da una famiglia che lo ama, che si prende cura di lui; rimane la ferita dei "non amati", diventa ricerca di verità, ma anche scontrosità, incapacità ad aprirsi e regalarsi le gioie semplici di una frase gentile, come se temesse di lasciare scoperta una parte di pelle dalla corazza che s'illude lo possa proteggere da nuovi abbandoni. Carlo attraversa la sua vita quasi con incoscienza, lasciando che le cose gli accadano, scegliendo solo per rifiutare: accadrà così che si troverà eroe per caso, simbolo della lotta contro la mafia, in mano ad agenti speculatori. E s'intravede tutta la stanchezza di Giulio, costretto da anni a vivere sotto scorta come Carlo; e finalmente si comprende il suo rifiuto per la retorica dell'eroe, la pesantezza di essere costretto in quei panni di cui parlavo prima: è un attacco, durissimo, alla società, a noi, a chi lo vuole identico a sé stesso e immutabile. E' la rivendicazione di un uomo che chiede di essere come vuole, di non assecondare nessuno, libero. E per riprendersi questo suo diritto abbandona lo show osceno di chi gioca con la sua volontà di poter essere sé stesso. Cerca le sue radici, fa i conti con quell'ombra, la mamma che tutto divora, decide di sapere. Un atto di coraggio, in ogni caso. Spogliarsi della sua veste di eroe per tornare ad essere  solo Giulio,per trovarsi e presentarsi al lettore con le proprie debolezze,fragilità, forze insospettate, scavi interiori crudeli innanzitutto verso sé stesso ché Giulio nulla si perdona. Con uno stile spezzato, frammentato, amore per la parola mai banale, Giulio Cavalli offre al pubblico un racconto in cui ogni personaggio è animato da pulsioni vere, chiede di essere letto con attenzione, perché il suo non è un libro che si fa dimenticare. Ti accosti, allora, con pudore a questa storia, vergognandoti di quelle domande che, inevitabilmente ti si presentano (ma gli è successo davvero?), le cacci perché sai che ha già dato tutto in quel romanzo, che gli deve essere costato più di quanto si possa chiedere a qualunque autore (a cominciare dalla dedica). Ci sono libri che devono essere scritti. E, perciò, devono essere letti. Anche con dolore, ma devono essere letti.

lunedì 22 luglio 2013

Una femminista alla corte di Schicchi- Intervista a Debora Attanasio

A leggere "Non dite alla mamma che faccio la segretaria" sono almeno due le domande che immediatamente ci si pone: 1) ma Debora non è da sempre impegnata nella difesa dei diritti delle donne e contraria alla mercificazione femminile? 2) un libro che parla di Schicchi a ridosso della sua morte non puzza di speculazione? Le risposte potete leggerle nell'intervista che segue, intelligenti e foriere di seguente dibattito come qualsiasi affermazione di una persona che, oltre alla suddetta intelligenza, è indubbiamente indipendente da ogni pregiudizio, colta, ironica, sensibile, spiazzante, contraria ad ogni moralismo. Il libro è godibilissimo, il classico racconto che non riesci a lasciare e che ti fa trascorrere la notte in bianco per finirlo, ma attenzione a non considerarlo una piacevole lettura diversiva da alternare al settimanale di gossip. E' vero, Debora racconta aneddoti sul mondo della pornografia, lo fa con tocco leggero e divertente, ma le sue parole sono tutt'altro che superficiali, il suo sguardo tutt'altro che cronacistico e questo risponde alle due domande di cui sopra. Lo Schicchi ritratto da Debora non intende essere la figura su cui spettegolare ora che non può più dire la sua: è un uomo a tutto tondo a cui l'autrice è legata in un modo che forse non le è del tutto consapevole. Mai Debora lo chiama per nome, pur avendo un rapporto con lui molto particolare e, per certi versi, se non intimo privilegiato; lui rimane il "signor Schicchi", una forma di rispetto che non viene meno di certo né con la lontananza né con la morte. Un uomo che rimane impresso nel nostro immaginario per la sua sensibilità, la sua ingenuità, il suo candore, la sua onestà, se lo si guarda dalla prospettiva di Debora che, per forza di cose, non può essere (né, credo, voglia essere) oggettiva. Non c'è morbosità nel libro, non emerge alcuno scoop, non si indulge al clamoroso né allo spettacolare nonostante vengano raccontate le vite di personaggi al centro della curiosità di media e pubblico, da Ilona Staller a Moana Pozzi. Perché Debora ha di fondo e sempre quell'onestà che le impedisce di scegliere le vie più facili, abituata com'è a cercare la sua indipendenza fin da subito. Questo è il particolare che fa da leit-motiv alla storia: la vita di una ragazzina che deve pagare un mutuo e che, per questo, per avere una casa e la sua indipendenza, mette tutta sé stessa nella ricerca di un lavoro, affrontando orgogliosa disagi, possibili catastrofi, pericoli. Senza mai rinunciare ai suoi sogni di giovanissima donna pura, che si barcamena fra personaggi che  si masturbano sotto i suoi occhi sapendo di poter contare solo su sé stessa. Con la capacità, poi, di commuoversi e commuovere con un pudore da altri tempi.

D: L'immagine che si ha di te in tutto il libro è di una persona che non si lascia scandalizzare facilmente: corrisponde alla realtà o è il velo del tempo che ti ha resa più disincantata?

R: La storia di "Non dite alla mamma" è raccontata a due voci: una me stessa dal passato, e l'altra in un finto presente, che in realtà è ugualmente molto lontano. Volevo rendere l'idea di come vedevo le cose attraverso l'ingenuità di allora. Con questo non intendo dire che oggi il mio atteggiamento sia cambiato. Sono più disincantata, ma continuo a difendere quell'ambiente per motivi diversi. Ci tengo a far notare che le donne guadagnavano il triplo degli uomini e che facevano sesso con bei ragazzi, invece che con il capufficio trippone che minaccia di farti licenziare. E Riccardo Schicchi non si è mai permesso di chiedere a un'aspirante pornostar, né a me, di non fare figli negli anni a seguire.

D:  Ad un certo punto del racconto c'è un paragone fra pornostar e prostitute che Schicchi non sopporta. Quali credi siano le differenze?
R: Esattamente quelle che ribadiva lui. Le pornostar non sono schiave di papponi, non rischiano di essere accoltellate da un cliente, girano solo tre, quattro film l'anno - a parte casi particolari di stacanoviste che decidono di fare il gruzzolo rapidamente - e una volta messo il perizoma in lavatrice, fanno sesso con chi gli pare. Ma soprattutto, le povere prostitute non vengono applaudite da nessuno, né invitate ai programmi televisivi.

D: La ricostruzione di alcuni personaggi, visti dall'interno, è quasi commovente: Cicciolina amorevole madre, Moana sensibile e quasi fiabesca. Era il tuo sguardo a vederle così o facevano davvero parte di un mondo che oggi non c'è più?
R: Le pornostar recitano. Nessuna di loro è una ninfomane, anche se qualcuna (non tutte) ha un sano e buon rapporto col sesso. La leggenda si alimenta per far contenti gli ammiratori. Poi, nella realtà, sono donne normalissime, con i loro pregi e i loro difetti, con le loro virtù e i loro vizi. Schicchi sarebbe molto arrabbiato nel leggere queste parole, non voleva che si gettasse la maschera, ma questa è la verità, e ora che tutto è finito - perché è finito - nessuno ci rimette più. Ilona ha speso centinaia di migliaia di lire per pagare gli avvocati, quando lottava per la custodia del figlio, che chiamava con tenerissimi vezzeggiativi in ungherese. Moana era regale, distaccata, poi improvvisamente infantile, ma serissima fuori dal set. Sussultava se qualche vigliacco la apostrofa malamente da lontano. Ed Eva Henger in privato, era - ed è - quanto di più lontano si possa immaginare da una mangiauomini. Colleziona orsacchiotti di peluche.

D: Eri una ragazzina ai tempi del tuo lavoro e molte cose le descrivi come normali: quanto ha contato il modo di pensare di Schicchi in questa tua visione della sessualità?
R: Non so che tipo di atteggiamento avrei avuto nei confronti della sessualità, senza questa esperienza. Ma credo che non sarebbe stato molto diverso. Non sono mai stata giudicante, altrimenti non avrei lavorato lì dentro con tranquillità. Sono cresciuta in una famiglia senza dogmi, poco cattolica, dove le enciclopedie mediche e giornali come Panorama o Cosmopolitan giravano liberamente. I divieti venivano distillati quel tanto che bastava per far sì che io e mia sorella non ci cacciassimo nei guai. Alle elementari ho avuto una maestra alternativa, e alle medie professori illuminati. Su questa base caratteriale, Schicchi ha insegnato alla sua segretaria a guardare la luna, invece del dito che la indica. Lui notava quelle cose che sono sotto gli occhi di tutti, ma di cui nessuno si avvede per abitudine. Ora cerco di emularlo. 


D: Verso Schicchi hai un atteggiamento al limite della venerazione, gli perdoni piccole e grandi truffe, furberie da strapazzo: non c'è nulla in lui che ti ha causato rigetto? Perché?
R: Abbiamo fatto anche dei litigi furibondi, una volta ci siamo lanciati a vicenda - schivandoli - i rispettivi mazzi di chiavi delle auto. Ma dopo dieci minuti sembrava che non fosse accaduto nulla. In fondo era un bravo ragazzo, sensibile e tenero, che si fingeva peggiore per difesa. Doveva essere stato uno di quei ragazzi timidi che a scuola non riscuotono molto successo, e aveva ottenuto il suo riscatto circondandosi di belle donne. Nutriva una discutibile ammirazione per i Lucignoli che gli capitava di conoscere - salvo poi pentirsene amaramente - e a volte cercava di fare il cattivo ragazzo, combinando danni solo a se stesso. Insomma, un disastro. Credevo che avrebbe potuto insegnarmi a essere più scaltra, ma non è stato così. Ricordo che la mattina non vedevo l'ora di andare al lavoro perché la sua compagnia era uno spasso, alternava concetti intelligenti a battute da sbellicarsi. So solo che mi manca moltissimo.

D: Conoscendoti come donna impegnata nella lotta alla violenza sulle donne, confesso di essere rimasta stupita dal tuo approccio al mondo della pornografia: come concili queste due visioni della donna? Non trovi che siano antitetiche?
R: Non ho mai pensato che la pornografia mercificasse le donne più di altri settori, e mi sono sempre chiesta perché nessuno dica mai che le luci rosse mercificano il corpo di Rocco Siffredi. Viviamo in un paese, tanto per dirne una, dove la religione ufficiale vieta alle donne l'accesso ai vertici, quindi credo che a generare i problemi sia altro. La pornografia è relegata nella finzione, un uomo che pretende dalla sua compagna le performance di una pornostar è cretino quanto una teenager che si aspetta il fidanzatino immortale dopo aver visto Twilight. La pornografia dovrebbe rappresentare solo atti sessuali con l'obiettivo esplicito di suscitare eccitazione a scopo onanista. Se fosse tutto qui, e se alle pornostar venisse riconosciuto il merito, invece di chiamarle con una serie di epiteti che non vengono mai riservati agli attori maschi, tutto andrebbe bene. Il problema è l'esterno. Il sesso e i rapporti uomo-donna stanno deragliando sempre di più verso l'umiliazione femminile, e non è certo colpa dell'hard core, che caso mai rappresenta le tendenze della vita quotidiana. Schicchi non era un maschilista, aveva un'idea fiabesca del sesso, i produttori lo accusavano di fare "robetta da luna park" e gli chiedevano di dare di più, richieste alle quali a volte cedeva perché non sapeva imporsi. Poi, magari chiamavamo insieme il Telefono Rosa di nascosto, per denunciare una rivista che pubblicava la frase «Per le donne, dolore e piacere sono la stessa cosa», e un'altra volta ha cercato - inutilmente - di muovere delle obiezioni verso un produttore che aveva girato scene troppo spinte con due delle sue attrici. Schicchi era sinceramente convinto di poter fare una rivoluzione sessuale, ma ha finito per diventare il simbolo di coloro che voleva combattere. E questo lo aveva intristito molto.

D: Accenni a ragazzi che non hanno saputo starti accanto in quel periodo della tua vita: credi che sia perché la sessualità è vissuta con grandi tabù?
R: Il bello di questo lavoro stava soprattutto nell'avermi permesso di testare rapidamente l'intelligenza e la purezza delle persone. Allontanavo quelli che impostavano il rapporto dando per scontato che avessi qualcosa da farmi perdonare, ma anche quelli che non si sentivano obbligati ad essermi fedeli perché «tanto sei una dalla mentalità aperta, no?». In Italia la sessualità è vissuta con grande confusione e molti controsensi, ed è spesso sfruttata -anche politicamente - come un mezzo per promuovere tutt'altro. La libertà sessuale non consiste nel mostrare le tette in tv per vendere uno yogurt, se poi si protesta davanti a una donna che allatta in autobus. Serve una profonda rivoluzione dell'immaginario collettivo, che spero stia iniziando.


D:  Metti un punto fermo sulla controversa fine di Moana, mostrando molto rispetto per una donna contraddittoria in ogni sua apparizione: è lei la persona a cui sei rimasta più legata in quel mondo?
R: In realtà non sono stata affatto legata a Moana. Ho legato molto di più con Eva Henger. Moana era molto distaccata e non dava confidenza. Sono solo riuscita a sospettare fra le righe che le sue scelte fossero una ripicca verso qualcuno che l'aveva ferita profondamente. Provavo ammirazione per lei perché era bella, elegante e irraggiungibile e mi incuteva molta soggezione, cosa di cui sorrido ora che ho molti più anni di lei quando è scomparsa. Ma non immaginavo davvero che avrei sofferto così tanto per la sua morte. È stato devastante, l'ho percepita come un oltraggio alla vita. Quando l'attrice Letizia Letza l'ha rappresentata - meravigliosamente - in teatro, ho pianto molto.

D: Le tue "confidenze" aprono uno squarcio anche sul mondo politico: qualcuno si è infastidito per ciò che hai scritto?
R: Per adesso no, e non credo che qualcuno lo farà. Sarebbe come ammettere di essere uno di quei personaggi di cui faccio cenno senza il nome. Lì dentro ho visto passare di tutto, grandi scrittori, stilisti, direttori di testate e persino un'alta carica istituzionale. Nessuno era al funerale del loro vecchio amico, che elogiavano solo per farsi presentare le sue stelle.

D: Parlare di Schicchi ora, alla sua morte, non è un po' come tradirlo non avendo ricevuto il suo benestare?
R: Come dice anche Eva Henger, se da qualche parte Riccardo ha la possibilità di leggere questo libro, sta gongolando. Perché adorava che si parlasse di lui, era terrorizzato dall'idea di venire dimenticato da tutti e gli piaceva essere "normalizzato", come diceva sempre. L'anno scorso, durante una telefonata, gli avevo accennato a  una sorpresa di cui sarebbe andato fiero. Era molto orgoglioso del fatto che lavorassi a "Marie Claire" e in un programma televisivo aveva detto di aver prodotto molti talenti, compresa la sua ex segretaria. Non me l'aspettavo. Aveva intuito cosa stavo combinando, e con  un po' di sconforto - e falsa modestia - mi aveva detto di lasciar perdere perché della sua storia e di quella delle sue star non sarebbe importato a nessuno. Si sbagliava. Quando è arrivata la notizia della sua morte, il libro era già alla Sperling & Kupfer da tre mesi e gli editor mi hanno chiamata afflitti perché tagliando il manoscritto iniziale (erano 600 cartelle) si erano affezionati al protagonista. Proprio in questi giorni, facendo ordine in casa, ho trovato l'agenda 2012 con su scritto al 10 dicembre "andare a trovare Schicchi in ospedale". È morto il 9. Glielo avrei detto in quell'occasione, a cose fatte, ma il destino ha deciso diversamente.

D:Perché il mondo della pornografia non ha più dive come ai tempi di Schicchi? Com'è cambiata la sessualità?
R: Non è solo la sessualità a essere cambiata, ma il divismo, anche nel mainstream. L'audience si è frammentata e ognuno ha i suoi piccoli idoli circoscritti. Inoltre, Schicchi era ormai praticamente cieco da qualche anno, anche se non lo faceva sapere. Si muoveva negli ambienti come col radar, mi dicono che lo facesse anche Totò, negli ultimi anni. Ma non vedendoci più, Riccardo non poteva fotografare né creare nulla. E ora, nessuno sarà mai più in grado di capolavori di ironia surreale come quello di scoprire una giovanetta ungherese, accompagnarla  nelle luci rosse, e poi farla passare alla storia come la prima porno-deputata al mondo.

















sabato 16 marzo 2013

La pittura, la bellezza, la femminilità- Intervista a Laura Aprile.


Laura Aprile può essere descritta con un solo aggettivo: indefinibile. Perché inafferrabile seppure schietta come quasi nessuno più, perché forte ed eppure di di una dolcezza ineffabile, perché arguta ed insieme sensibile e poi lontana e poi feroce e poi misteriosa e poi vera. Allo stesso modo le sue donne (Maddalene o Madonne) raramente mostrano il loro volto ed eppure ti fissano, pudiche, di quel pudore antico che solo animi vuoti possono non vedere, abbagliati dall'apparente nudità. Le opere di Laura non sono semplicemente belle: questa donna ha caparbiamente voluto dipingere perché, come dice lei, non aveva scelta. E ha studiato: quel che di pregevole hanno innanzitutto le sue tele è appunto la ricerca estenuante della perfezione formale; la prospettiva, un dito del piede, un ricciolo, un marrone giocato tono su tono sul filo dell'appiattimento per superare quel pericolo e staccarsi quasi diventando un colore altro. E' una sfida la pittura per Laura ed è anche fatica: tele enormi cui la fotografia non riesce a rendere giustizia perché le dimensioni, impressionanti, possono essere colte solo se si vede lei, il pennello in mano, dinanzi all'opera, lei, piccola, in atto d'amore e di passione assoluta.

D: Che cosa ha significato nella tua vita essere pittrice? 

R: Si nasce pittori, così come musicisti o scultori. Credo sia una questione di anima, non di scelta. Nascere con questo destino mi ha dato molto in sensibilità, ma mi ha tolto altro per lo stesso motivo.


D: Quali ostacoli hai dovuto superare, se ce ne sono stati, per diventarlo?

R:  Gli ostacoli sono stati soprattutto mentali, poi pratici. 
A casa la scelta è risultata stravagante, i miei volevano facessi tutt'altro; li ho presi per stanchezza, ero assolutamente ossessiva e perentoria.
La vera difficoltà, come dicevo, è nella testa, perdurare nella pittura è più difficile che cominciare.



D: La tua tecnica è particolare e, per me, incredibile: dipingi da una fotografia, riproducendo però le misure reali del soggetto. Quanta fatica e quanto studio ci sono dietro? Perché dipingi così?

R: Non ho mai dato tanto peso alla tecnica, ma al processo mentale, anche se è indiscutibile il fatto che nel mio lavoro ci debba essere una conoscenza anatomica assolutamente ineccepibile. Ma ciò che conta,appunto, è il processo mentale che conduce alla tecnica. I soggetti possono nascere da un'idea, da una foto, da una mia immagine o da quella di qualsiasi altra persona, per me è un fatto del tutto irrilevante. La fatica è nel trovare il soggetto capace di suscitare il desiderio, o meglio, lo scatto al desiderio; così il risultato è sempre direttamente proporzionale alla passione avuta nel realizzarlo.



D: Si può essere pittori senza alcuna conoscenza di anatomia, prospettiva, storia dell'arte? Credi esistano tanti Van Gogh, in sostanza?

R: Credo ci siano talenti come Bacon, in grado di essere geni senza nessuno studio preconfezionato. Si nasce pittori, ripeto, lo studio è sempre un discorso personale. Per questa ragione esistono molti artigiani della pittura, veri pittori pochi.



D: Che cosa ti consente di esprimere la pittura e come ti senti quando le tue opere vengono esposte?

R: -Lavorare a un quadro è come fare l'amore, è essere in amore. E' una via di mezzo tra uno sforzo mentale e un'alchimia sensoriale, finito il parto, il dipinto, per me, non ha più nessuna importanza, diventa un oggetto come un altro. Non ho mai capito i pittori che si affezionano alle loro opere al punto da non doversene separare mai.



D:  Predominano, nei tuoi dipinti, le figure femminili: misteriose, bellissime, sensuali. E' così che vedi il prototipo di donna? 

R: Questa è una domanda per me molto difficile. Francamente non so perché dipingo la donna sensuale o,  comunque, non è il mio scopo in primis. So solo che l'effetto, il risultato, possono condurre a quest'idea,ma non è il mio intento principale.Ciò a cui tengo è l'armonia, il taglio, la non ovvietà che è la cosa che mi fa più spavento.



D: Il tuo stato d'animo influisce sulla tua opera? Più attraverso il disegno o il colore? E, quando rivedi un tuo dipinto, riesci a ricordare i tuoi stati d'animo d'allora?

R: Se sono col fuoco della pittura dentro, lavoro. Se non ho il fuoco, impossibile mettermi al lavoro, non saprei da che parte cominciare. Per molti è solo una forma di alibi incondizionato ma in me funziona solo in questo modo. Tuttavia, ci sono momenti in cui ho più desiderio che altri e molti lavori mi ricordano certamente lo stato di desiderio in cui mi sono trovata mentre li dipingevo.



D: Qual è la critica che non sopporti e il più bel complimento che ti è stato fatto? Quale, invece, quello che aspetti di ricevere?

R: Non sopporto quando la gente mi chiede del perché io abbia dipinto questo o quello, non lo sopporto perché non trovo, nel mio lavoro, una ragione particolare di ciò che faccio.Del resto, nell'arte, così come nell'amore, non esistono ragioni.
Non mi aspetto di ricevere nulla dagli altri ma mi commuovo sempre quando, a distanza di anni, i miei collezionisti mi sono grati di ciò che ho dipinto e che loro possiedono in casa.



D: L'arte è per te un atto sacro: in quanto tale, hai un cerimoniale che segui?

R: Sono una selvaggia, un'istintiva maniacale. Nessun cerimoniale, se non il fatto stesso che, quando sono davanti al cavalletto, mi sento sempre come il sacerdote che sta preparando messa. E' quello il mio altare di pietra.



D: Sei una donna bellissima che spesso si ritrae: francamente, come fai a sopportare su Facebook, certi commenti di uomini sulla tua avvenenza a discapito della tua arte e quelli di alcune bigotte su una inesistente volgarità?

R:  Quando scegli di fare il pittore devi avere un solo desiderio: diventare sordo. Solo in questo modo puoi raggiungere il tuo sogno, la tua strada e rimanere impermeabile a tutta la volgarità possibile.





sabato 19 gennaio 2013

Mafia, Ingroia, Di Pietro, Grillo e la politica. Intervista a Sonia Alfano.



 Sonia Alfano è un punto di riferimento per me e per chi la segue politicamente da anni. E' una donna integra, chiara, semplice, veramente e sinceramente interessata ai problemi del cittadino: lo so perché è stata uno dei pochi politici che, senza fanfara, si è mossa in aiuto di persone con disponibilità e senza alcun interesse personale. Ciò fa di lei un unicum nello scenario del nostro Paese, per il coraggio di assumere posizioni scomode e di portare avanti le sue idee con fermezza ma con la capacità di mettersi in discussione sempre. Ammiro Sonia da anni, ho sperato che portasse il suo impegno (nella lotta alla mafia, in primis, e non solo in quanto figlia di una vittima) nella politica italiana e ancor di più in quella siciliana. L'intervista che segue è stata fatta per iscritto, quindi non ho ribattuto a ciò che Sonia sostiene, lo faccio ora: non credo, come lei, che davvero vi sia una lotta alla mafia strenua e forte in questo momento (ho imparato da tempo che se la mafia tace non è perché non esiste, ha solo trovato un accordo o lo sta proficuamente cercando); nutro più di un dubbio sulla presa di posizione politica di Ingroia, pur stimando il magistrato enormemente, e ciò mi rende più scettica sul futuro dell'Italia. Ma questi sono appunto pensieri miei, ciò che importa è sentire la voce di una grande donna (e siciliana) con l'immutata stima nei suoi confronti per ciò che è stata e ciò che sa essere.

1) Iniziamo dalla Sicilia: come vedi l'affermazione di Crocetta? E' davvero un segno di rinnovamento?



Sicuramente Rosario Crocetta ha una storia e un approccio alla politica diversi rispetto alla maggior parte dei politici che sono stati Presidenti della nostra Regione. Quindi un cambiamento nel sentire dei siciliani, senza dubbio, c’è stato.



2) La lotta alla mafia sembra essersi arrestata: la tua voce contro appare isolata. Perché non ti sei candidata alle regionali?



Non credo che la lotta alla mafia si sia arrestata. E’ troppo generica quest’affermazione. Di certo non tutte le Istituzioni hanno alzato la guardia a sufficienza. A fronte di una magistratura e di forze dell’ordine che ogni giorno hanno dovuto lottare anche contro l’inadeguatezza del legislatore, buona parte della politica sembra aver chiuso entrambi gli occhi: a volte per negligenza, altre volte perché ha scelto di fare affari con la mafia. Ad ogni tornata elettorale mi viene chiesto perché non mi candido. Non ritengo che la mafia debba essere combattuta esclusivamente dal Presidente della Regione. Posso combatterla dal Parlamento Europeo, dal Parlamento italiano. Tutti possiamo, in qualche modo.

3) C'è un movimento, guidato da De Magistris, l'"arancione" che ha fra i suoi simpatizzanti Ingroia. Che pensi del movimento e di Ingroia (anche in relazione alla sua polemica con Napolitano e alle sue dichiarazioni sul caso Rostagno)?



Penso tutto il bene possibile. Il Movimento Arancione è davvero una ventata di ossigeno in un mondo politico asfissiato da polemiche strumentali, lontano anni luce dalle proposte per il Paese. A questo Paese servono soluzioni, programmi, lo sguardo sul presente e verso il futuro. Ingroia è una persona di specchiata moralità, con un elevato senso del dovere. Quella con Napolitano non è una polemica: il Quirinale ha esercitato pressioni sulla Corte Costituzionale, creando un clima inappropriato in un momento delicatissimo in cui le Istituzioni, a cominciare dal Presidente della Repubblica, dovrebbero essere al fianco di chi cerca la verità. Purtroppo accade il contrario e i magistrati impegnati in prima linea nella lotta alle collusioni mafiose si ritrovano isolati e delegittimati. Esattamente come nel 1992, se non peggio.



4) Sei stata molto vicina all'IdV: credi che Di Pietro debba fare un passo indietro? C'è un futuro per l'IdV?



Non posso dire cosa dovrebbe fare Di Pietro. Quello che posso dire è che ho fatto di tutto affinché si evitasse il tracollo di IdV, che consideravo una potenziale risorsa per il Paese, ma sono stata presa per guerrafondaia. Da alcuni dirigenti del partito sono stata insultata, denigrata e infine allontanata. Sul futuro, avremo le risposte dalle prossime elezioni politiche.

5) Sei stata molto critica con Berlusconi, ora sembrerebbe ritornare a candidarsi: perché, secondo te? E c'è ancora un rischio per la democrazia?



Berlusconi si candida sempre e solo per un motivo: sfuggire alla giustizia e ai processi. Riguardo al rischio per la democrazia... sì, certo, ci sarebbe qualora ci fosse il rischio di una sua elezione. Confido nell’intelligenza e nell’amor proprio degli italiani: non credo che vogliano tornare a vivere l’incubo già vissuto per un ventennio. E’ tempo di cambiare e non si tratta di alternanza: certi personaggi, primo tra questi Berlusconi, devono sparire dalla scena politica. Questo Paese deve crescere e voltare pagina.



6) Sei stata vicina all'area grillina, poi in polemica. Ora che il M5S sembra destinato a un grande successo, puoi parlarmi della tua esperienza con Grillo? E' davvero una minaccia per la democrazia?

In realtà non ho polemizzato con il MoVimento 5 Stelle. E, personalmente, nemmeno con Beppe Grillo. Lui mi ha rivolto degli attacchi, alcuni evidenti altri meno, ingiustificati e ingiustificabili. Ho chiesto spiegazioni pubblicamente. Ho chiesto anche un confronto pubblico. Lui non ha mai risposto. Questa, per me, non è democrazia. Diverso è il rapporto che ho con molti eletti del M5S: spesso abbiamo collaborato per portare avanti battaglie e iniziative comuni. Non posso generalizzare positivamente, né negativamente. All’interno del M5S ci sono persone validissime, che possono fare davvero tanto per il Paese. Altre, molto probabilmente, saranno meno valide e meno utili al Paese. Credo sia così per tutti i partiti o movimenti.


7) C'è un malcontento generalizzato in tutta Italia contro la cosiddetta "casta". Esiste qualche politico che tu salveresti e qual è la formula tua personale per rinnovare l'Italia?



Hanno ragione gli italiani ad essere esasperati di fronte alla saccenza con cui certi politici approfittano della propria posizione e di fronte all’arroganza con cui si concedono diritti discutibili. Il privilegio di per sé è ingiustificabile. Bisogna solo saper scindere il diritto dal privilegio. E’ anche vero che a volte la rabbia spinge il cittadino a contestare anche ciò che non andrebbe contestato, a perdere la lucidità. Ma di certo, in questo Paese, si è esagerato. Rinnovare l’Italia richiede un impegno ben preciso: intanto bisogna rinnovare la classe dirigente, che non è soltanto quella politica. E bisogna farlo mettendo fine a favoritismi e clientelismi per fare spazio al merito! Da troppo tempo, in Italia, il merito non viene premiato. Anzi, viene irriso e sminuito.

8) Parliamo di femminicidio e violenza sulle donne: non hai l'impressione che lo Stato sia troppo lontano dalle vittime? Che proporresti di fare politicamente?



Sì. Il femminicidio è diventato ormai un’emergenza nazionale. I numeri parlano chiaro. Ma le donne tormentate e uccise non sono numeri. Sono esseri umani, le cui vite spezzate sono come coltellate nell’animo del Paese. Due sono le prime mosse da fare: intanto delle massicce campagne di comunicazione e informazione sul fenomeno della violenza domestica e del femminicidio, per sensibilizzare l’opinione pubblica e “educare” le nuove generazioni affinché sviluppino gli anticorpi necessari a respingere forme di violenza di ogni tipo. E, passo ancor più importante, introdurre un’aggravante per questo tipo di delitto. Se una donna viene uccisa in virtù del suo essere donna, il reato deve necessariamente essere considerato più grave. Vale anche per delitti commessi per omofobia. Bisogna combattere la discriminazione, di qualunque genere, con i fatti.

9) All'interno del Parlamento europeo non sarebbe possibile porre all'attenzione di tutti la tragedia che vivono le donne in Italia? Quali sono le altre iniziative che possiamo portare avanti?



Sì, certo che si può porre l’attenzione e personalmente l’ho fatto con diverse attività parlamentari. E tutti possiamo portare avanti delle iniziative, come ho già detto, volte a sensibilizzare l’opinione pubblica. Ma l’emergenza deve essere affrontata immediatamente dalle Istituzioni nazionali. Dal legislatore, in primis.

10) Quando ti vedremo candidata per la politica italiana e accanto a quale schieramento?



Come ho già dichiarato, nonostante le tante proposte di candidatura, ho scelto di restare al Parlamento Europeo alla guida della Commissione Antimafia. Sono stata votata per l’intero mandato e intendo onorare l’impegno che ho preso, sono solita fare così. Solo la credibilità può riavvicinare la politica alla gente. Sarebbe stato per me facile candidarmi e rientrare in Italia ma quando si ricopre una carica istituzionale così importante si deve anteporre l’interesse collettivo a quello personale. Nel mio piccolo spero di rappresentare un esempio anche per la maniera in cui sto difendendo la credibilità della istituzione che presiedo.












martedì 1 gennaio 2013

La scrittura e l'indipendenza femminile-Intervista a Carmen Covito


Quando si parla di Carmen Covito inevitabilmente il pensiero va a "La bruttina stagionata", il best-seller che l'ha resa nota al grande pubblico. Giustamente, aggiungo. Perché il romanzo affrontava una tematica nuova da un punto di vista originale e  la scrittura di Carmen era ricca, precisa, pungente, ironica, capace di toccare ogni corda della sensibilità umana, come solo pochi grandi scrittori sanno fare. Carmen torna con "Le ragazze di Pompei", edito da Barbera, in un romanzo ambientato nell'antica Roma; ciò ovviamente ti conduce in un binario diverso, l'affresco storico che tanto ricorda il "Satyricon", ma è solo un'impressione superficiale. Carmen è la stessa, nel senso che, ancora una volta, è nuova e sorprendente; che, ancora una volta, ti guida nelle emozioni attraverso uno stile rigoroso ma divertito; che, ancora una volta, con levità e profondità insieme ti porta ad interrogarti sul ruolo della donna, riuscendo a rendere attualissimo un periodo storico così lontano eppure così vicino alle nostre radici. E lasciandoti con l'interrogativo, dilaniante in questi tempi, sul percorso sociale della donna, sul suo ruolo, sul suo presente e il suo futuro, su un cambiamento che un occhio lucido non può non avvertire che volga indietro. La scrittura di Carmen è questo, ma è anche molto di più e chi non l'avesse letta si è perso la possibilità di incontro con un grande autore contemporaneo.

1) "La bruttina stagionata" è stato un successo editoriale incredibile, nuovo per le caratteristiche della protagonista e le sue "avventure". Il messaggio che ne ho tratto è che la donna, al di là dell'età e dell'avvenenza, può essere tutto quello che vuole. E mi sembra tanto in questi tempi dominati dallo stereotipo dell'eterna giovinezza e beltà. E' questo che volevi trasmettere? 

Naturalmente, non volevo trasmettere messaggi: volevo raccontare una storia, e la storia era quella del disagio che prova una donna nel sentirsi giudicata solo – o prima di tutto - per il suo aspetto, quando ha molte altre qualità. Dato che io non sono tagliata per i drammi, ne ho fatto una commedia, ma una commedia aspra, dura come le sfide che ci tocca sostenere ogni giorno. Per una donna affermare la propria identità è quasi peggio che lavare i piatti: una faccenda ripetitiva, che la fai oggi e la devi rifare domani, una noia che non finisce mai, perché non esistono lavastoviglie mentali in cui ficcare tutta una società maschilista. 

2) Sempre in riferimento a "La bruttina stagionata" si legge un'istanza d'indipendenza molto forte. Credi che le donne, da allora, abbiano fatto dei passi avanti? Se no, a che cosa imputi questo stallo?

A volte mi riesce difficile credere che dall’uscita di quel libro siano passati vent’anni. Siamo ancora lì, anzi la situazione è peggiorata, oggi siamo al femminicidio come pratica non eccezionale, per non dire quasi normale. In Italia, non c’è il minimo dubbio sulla responsabilità di questa situazione: il berlusconismo ha affossato ogni principio di progresso, imponendo un’immagine arcaica della donna, tutta sesso e giovinezza, o tutta sesso e chirurgia estetica. Ha rigettato un’intera generazione di donne in una mentalità da schiave, obbligate a compiacere questo o quel padrone per strappargli un regalo, una carriera, una poltrona ministeriale o la pura sopravvivenza. Adesso bisogna ricominciare, raccogliere i cocci, ricostruire, ma che fatica... 

3) "Le ragazze di Pompei" è un romanzo molto particolare: lo ambienti nell'antica Roma, facendo quasi respirare l'atmosfera che vi regnava. E' un tuo omaggio alla storia? Hai voluto in qualche modo far avvicinare il lettore ad una conoscenza più approfondita delle nostre origini?
Per la verità, quelle non sono tanto le nostre origini ma proprio le mie... Io sono nata lì, sul sito dell’antica Stabia, dove c’erano delle gran belle ville romane che furono distrutte dalla stessa eruzione che seppellì Pompei e Ercolano, ed è praticamente da sempre che avevo voglia di scrivere un romanzo ambientato in quell’epoca, ma mi ero sempre scontrata con un problema di stile. Come lo racconti il passato? Con che lingua? Come fai a evitare l’effetto peplum e a non ritrovarti subito nella scena madre di Quo Vadis? Alla fine ho trovato la soluzione ricordandomi il piccolo shock culturale che avevo provato da piccola, vedendo per la prima volta in una vetrina di museo gli oggetti quotidiani trovati negli scavi, il cibo carbonizzato ma perfettamente riconoscibile: il pane, le olive, i cucchiai, le brocche...  cose leggermente diverse dalle nostre eppure uguali, familiari. La scommessa è stata quindi quella di ridare vita agli antichi romani facendoli parlare come noi, ma senza perdere questa impercettibile sfasatura data dalle differenze storiche, di mentalità, di pensiero, tra noi e loro. 


4) Le donne di "Le ragazze di Pompei" sono anche loro piuttosto indipendenti ma sembra che la vera differenza la faccia la cultura. Credi che sia così anche oggi? L'indipendenza è un fattore culturale o un'esigenza innata?

Facciamo una premessa: senza cultura non ci può essere indipendenza. E questo lo possiamo dire in molti modi, per esempio possiamo dire che senza informazione non c’è libertà, ma abbiamo detto la stessa cosa. Nel romanzo, immagino che la figlia di un libraio abbia il sogno di creare un’accademia per insegnare filosofia alle ragazze di Pompei, ma mi sono permessa di immaginarlo perché nella realtà storica di quell’epoca c’erano davvero donne colte, brillanti, e c’erano soprattutto donne economicamente indipendenti, bottegaie, artigiane, piccole o grandi imprenditrici. Non ci hanno raccontato direttamente le loro storie perché le convenzioni non lo permettevano, ma hanno lasciato molte tracce concrete di attività, e per raccontarle basta saperle leggere.  

5) In entrambi i tuoi libri, le figure maschili sono deboli e in secondo piano, schiacciate dalla forza di quelle femminili: è una tua precisa scelta? Gli uomini sono davvero più deboli e vigliacchi delle donne?

Suppongo che questa sia una domanda retorica. Posso appellarmi alla facoltà di non rispondere? :-)


6) Ho letto che hai ricevuto feroci critiche maschili dopo "La bruttina stagionata": che cosa avevi messo in crisi? Perché si sono tanto risentiti? E le donne, invece, come hanno reagito?

Non erano critiche: erano telefonate anonime, e anche piuttosto minacciose.Ho fatto togliere il mio numero dall’elenco, ma prima di capire perché mai quei maschi anonimi ce l’avessero con me ho dovuto pensarci parecchio. Evidentemente, li disturbava l’atteggiamento della protagonista del romanzo, che guarda e giudica gli uomini,  non si lascia trattare da oggetto ma si fa soggetto attivo, e arriva a usare il sesso come strumento di conoscenza. Inutile dire che le donne invece hanno reagito benissimo. Anzi, mi capitava di sentire delle lettrici giovani e bellissime che mi dicevano di essersi identificate con la protagonista, e io trasecolavo e dicevo, “Ma sei matta?”. Evidentemente, ero andata a toccare un punto sensibile di tutte le donne: non siamo mai sicure di noi stesse. A differenza degli uomini, che tendono ad essere sicuri di sé anche, e soprattutto, quando non ne hanno motivo.

7) Esiste, secondo te, un modo femminile di raccontare o è uno stereotipo discriminante? Tu che cosa leggi?

Non credo nella differenza di genere applicata alla letteratura, anzi non credo molto nemmeno nei generi letterari. Credo, semmai, che esista una maniera femminile di vedere le cose che può rivelare aspetti inediti della realtà, ma non diversamente da come può fare qualunque altro sguardo marginale, eccentrico rispetto a quella realtà. Spesso le donne hanno ancora l’occhio  dell’immigrato, dello straniero, dell’alieno. Un occhio rivelatore, l’occhio che vede quanto è nudo il re. Quanto a me, purché siano libri belli e interessanti, leggo di tutto e di tutti.

8) Ti occupi di cultura giapponese: c'è una differenza fra la donna italiana e quella giapponese come mentalità, modo di vivere, modo di essere considerata?

La società giapponese è indubbiamente maschilista, ma non molto più della nostra. E a differenza della nostra ha sempre riconosciuto alle donne un posto di rilievo nella produzione di opere letterarie: il Dante Alighieri giapponese è una donna, la dama di corte Murasaki Shikibu, autrice del romanzo “Genji Monogatari”. Adesso ne abbiamo finalmente una magnifica traduzione in italiano (ad opera di un’altra donna, la professoressa Maria Teresa Orsi: Murasaki Shikibu, “La storia di Genji”, Einaudi 2012)) e se volete capire la cultura giapponese vi raccomando di leggerlo! 


9) Parliamo di linguaggio: quali sono i modi di dire, gli errori grammaticali e ortografici che più ti fanno inorridire? Credi che, in generale, oggi si scriva e parli meglio o peggio che in passato?

Sto conducendo una battaglia personale contro il verbo “posizionare”, che mi fa letteralmente rabbrividire, ma temo che ormai sia una battaglia persa, perché l’ho visto infiltrarsi anche in austeri saggi accademici. Purtroppo, ha ancora ragione il vecchio Baldassar Castiglione: a decidere il destino di una lingua è l’uso. Le parole straniere, i neologismi, gli errori, transitano per i nostri discorsi come le merci attraversano i territori: alcune risulteranno utili e si fermeranno, altre scompariranno e nessuno le rimpiangerà. 

martedì 18 dicembre 2012

La scrittura e la politica- Intervista a Massimo Gramellini.


Massimo Gramellini era già noto al pubblico per la sua rubrica su "La Stampa", un seguito inusuale per un giornalista che è diventato per molti un punto di riferimento per riflettere su politica, attualità, società. Il salto, la grande popolarità, arriva, però, grazie a un libro, "Fai bei sogni", che diventa in brevissimo tempo un caso letterario per il successo che riscuote e per l'immagine dell'autore che filtra attraverso quel racconto autobiografico. Gramellini scrittore o lo si ama o lo si odia, il suo libro non è destinato ad essere messo da parte senza che lasci traccia di sé, perché l'autore ha deciso di offrirsi al lettore inerme e nudo, parlando del dramma che ha segnato tutta la sua vita, la perdita della madre. E' stato accusato di aver voluto speculare sul suo privato, di aver venduto la sua intimità, di essersi piegato alle leggi del mercato con un libretto semplice e di buoni sentimenti, a partire dalla copertina, di aver tradito il suo pubblico. Tutto questo io non l'ho visto: c'è un Gramellini autentico, in nulla differente dal giornalista che sa essere sì graffiante, ma anche tenero; che sa raccontarsi con semplicità esattamente come avviene su "La Stampa"; che sa essere feroce prima con sé stesso e poi con gli altri ma mai con cattiveria partigiana; che affronta temi intimi, importanti, vitali sfuggendo per un soffio la retorica. Alla fine del libro vorresti chiedergli di tutto, discutere ogni episodio narrato, lo senti vicino a te come un vecchio amico, ma, fortunatamente, ti fermi. Perché chi l'ha letto seriamente e in profondità ha visto anche il pudore di Gramellini, il pudore dei sentimenti, e puoi solo rispettarlo, evitando di continuare a fare di lui l'orfano perenne, cercando, invece, assieme a lui, di ritrovare quei tratti comuni che ci rendono tutti degni d'amore.


1) "Fai bei sogni" è un libro autobiografico che ha riscosso un grandissimo successo: è perché ognuno di noi è orfano di qualcuno o qualcosa?

Ognuno di noi ha patito un dolore che non riesce a spiegarsi. La mia storia suggerisce che la sofferenza può diventare una occasione per evolvere, scoprendo risorse di te che altrimenti sarebbero rimaste atrofizzate.

  2) Dice di aver rivisto il romanzo più volte, eppure la sensazione è di essere dinanzi ad un racconto scritto di getto: è perché la metabolizzazione non è ancora avvenuta, per pudore, per rabbia o perché l'ha voluto?

In realtà l’ho scalettato da aprile a luglio del 2011, l’ho scritto in tre settimane durante le ferie estive e l’ho riletto e corretto fino a Natale. L’ho composto di getto perché avevo bisogno di svuotarmi dentro. Come se avessi voluto sbobinarmi il cuore.

3) Seppure si parli di vita, il tema dominante è la morte, il vero, grande tabù della nostra società: è quella l'originaria paura da cui scappiamo? Credere in Dio è una soluzione o un comodo rifugio per vigliacchi?

Ho una visione spirituale dell’esistenza. E trovo assurdo che i laici abbiamo lasciato alle religioni monoteiste l’esclusiva della spiritualità. La mia intuizione mi dice che la vita ha un senso, la sofferenza ha un senso, la morte ha un senso. In sanscrito, la radice di tutte le lingue moderne, morte e madre si scrivono allo stesso modo: Mar. Per indicare ciò che esiste oltre la morte, il sanscrito mette una A davanti alla parola Mar. A-mar. Non le ricorda una nostra parola? A-more. Ecco, oltre la morte c’è l’amore. Chi ha paura della morte ha paura dell’amore.

4) Nonostante  dica che la sua vita fu priva di figure femminili, il libro ne è pieno: che cosa le hanno insegnato le donne? E l'assenza del principale punto di riferimento non le ha lasciato rabbia e assieme idealizzazione?


Per fortuna la vita mi ha ricompensato, restituendomi da adulto le energie femminili che mi aveva tolto da bambino. Però mi è rimasta la tendenza a
idealizzare le donne. Io sono convinto che le femmine siano più evolute dei maschi. Per questo mi dispiace che ogni tanto, per farsi accettare, adottino il modello dei maschi. La parità non è una donna che per avere successo si comporta come un uomo. La parità è portare dentro la società un modello diverso: quello femminile.

 5) Le cronache sono piene dell'orrore ormai quotidiano di donne ammazzate da uomini: secondo lei perché avviene? Quali rimedi propone a livello politico, sociale e individuale?

Avviene perché la cultura dominante continua a considerare la femmina una proprietà del maschio. Quando vado a parlare nelle scuole, mi rivolgo ai maschietti e dico loro: ricordatevi che la fidanzatina di cui vi siete innamorati non è una cosa da conquistare, ma una compagna con cui condividere un tratto del vostro cammino, finché entrambi lo vorrete. Ma se lei cambierà idea, dovete accettarlo e lasciarla andare. Dovete accettare la sconfitta. Se volete essere liberi dentro, dovete dare libertà a coloro che amate: anche la libertà di non amarvi o, peggio, di non amarvi più.

 

6) Qualcuno si è stupito che la penna spesso graffiante del giornalista de "La Stampa" abbia prodotto un libro così cedevole ai sentimenti. Vedo, invece, una continuità fra l'editorialista e lo scrittore: quali altri suoi tratti rimangono identici in ogni sua espressione di scrittura?

Mi sforzo di mantenere sempre la leggerezza. Solo gli stolti la confondono con la superficialità. La leggerezza, ce lo ha insegnato Calvino, è l’unico modo per scavare davvero…


7) Gramellini giornalista ha un grande senso dello Stato: l'Italia, gli italiani ce l'hanno? L'hanno mai avuto?

Gli italiani non hanno il senso dello Stato. Semmai è lo Stato che fa loro senso… A me è successo di venire sgridato da un hooligan in un parco di Londra perché avevo buttato una cartaccia fuori dal cestino. Un hooligan! Ma sentiva quel parco come casa sua. Per noi, invece, ciò che è di tutti non appartiene a nessuno.

8) Che cosa pensa di un anno di governo tecnico? E di Napolitano? Crede che ci abbia salvati da una deriva antidemocratica?

Il nesso fra crisi economica e derive autoritarie è scritto nella storia. Quando la politica perde prestigio e i cittadini non ne avvertono più l’utilità, il rischio della scorciatoia populista è altissimo. All’Italia manca un centrodestra occidentale. Berlusconi non assomiglia a Cavour, ma a Peron. Evita, naturalmente. Mi auguro che intorno a Monti possa finalmente nascere un centrodestra serio, europeo. Farebbe bene anche ai progressisti. Oggi il Pd è circondato da populismi. Ha bisogno di un avversario rispettoso e rispettabile. Un avversario che non sia un nemico.

9) Lei sta certamente dalla parte dei deboli, delle vittime: in questo momento storico gli italiani si sentono vittime di una classe politica truffaldina e che non li rappresenta. Avverte il rischio di un populismo che veda in singoli personaggi dei salvatori della Patria?



Ripeto: diffido dei populismi e delle scorciatoie. Ho smesso di credere ai cambiamenti sociali determinati dalla vittoria di questa o quella fazione, di questo o quel capetto. Chiunque va al potere ne viene prima o poi sedotto, deteriorato e divorato. Gli unici cambiamenti in cui credo ancora sono quelli interiori. Non voglio più eleggere salvatori della Patria, ma persone perbene che mi convincano con l’esempio, non con le parole.

10) Berlusconi torna a candidarsi: perché? Lo vede come una minaccia per la democrazia? Vede in lui il responsabile di un ventennio di sbandamento politico e morale?

Berlusconi è il prodotto del consumismo esasperato degli anni Ottanta e Novanta. Il suo messaggio è stato: più cose materiali possiedi, più sarai felice. Lui lo ha incarnato alla massima potenza. E infatti è invecchiato male, aggrappato alla chimera patetica della giovinezza infinita del corpo.



11) Parliamo di linguaggio scritto e parlato: quali sono i modi di dire e gli errori che proprio non sopporta nel giornalismo, nei libri, nella vita quotidiana?

Ho il terrore della frase sciatta. Per me la parola scritta non è una emozione ma un sentimento. Non un flusso continuo ed estemporaneo, come avviene sui social network, ma qualcosa di meditato, frutto di correzioni, tagli, riscritture. Soprattutto di tagli…